Quando il padrone resta nell'ombra
Le società fiduciarie e estere, soprattutto lussemburghesi, sono
l'ultima passione del calcio italiano per nascondere i veri azionisti
dei club. Dal Brescia al Bologna, dalla Sampdoria al Napoli, così
fan tutte
di MARCO LIGUORI e SALVATORE NAPOLITANO
Società fiduciarie ed estere, soprattutto lussemburghesi, che
passione. A detenere i pacchetti di controllo di più d'una squadra
del campionato italiano ci sono azionisti che si nascondono bellamente
o che hanno il ponte di comando all'estero. Anche in questo il calcio
non si differenzia, e non potrebbe essere altrimenti, dal resto delle
imprese italiane. Occorre comunque sottolineare che tali possibilità
sono previste dalla legge ordinaria. Spulciando tra le visure ci si imbatte
in gustose amenità, che restano peraltro senza risposta. Le fiduciarie,
si sa, servono giusto a tenersi nell'ombra. Con un bel calcio alla trasparenza.
Anche perché esiste una regola della federazione, che sancisce
essere «tassativamente vietato» il controllo di più
d'una squadra nella stessa serie: è il dettato dell'articolo 16-bis
delle Noif. Ma come fa la Federazione a sapere chi detiene il controllo
se c'è chi si maschera dietro fiduciarie e società estere?
La risposta la fornisce il comma 7-bis dell'articolo 15 delle Noif, che
dà la facoltà alla Figc di «chiedere la comunicazione
dei documenti atti a identificare le persone fisiche» che detengono
le azioni: in parole povere, è un controllo che spetta alla Co.vi.soc.,
la nota commissione che vigila, o almeno dovrebbe, sui conti delle società.
Sarà stato esercitato? Non è dato saperlo. C'è di
più: la violazione del divieto «tassativo» comporta
delle sanzioni risibili. Non poteva essere altrimenti visto l'andazzo
delle regole nel mondo del calcio. A carico delle società è
prevista un'ammenda non inferiore a 10.000 euro (nemmeno 20 milioni di
vecchie lire), mentre gli azionisti, aventi partecipazioni plurime, incorrono
nella sanzione di cui all'articolo 14, comma 1 lettera e del Codice di
Giustizia Sportiva per un periodo non inferiore a un anno: l'inibizione
temporanea a svolgere ogni attività in seno alla Figc, a ricoprire
cariche federali ed a rappresentare le società nell'ambito sportivo.
La Leonessa Dubbiosa
Ma è davvero Corioni il proprietario del Brescia? Il dubbio sorge
immediato: l'ex presidente del Bologna detiene il 5,06% delle «rondinelle»,
mentre il restante 94,94% è in mano alla Sportinvest. E chi ne
sono i soci? Mistero. Si nascondono dietro due fiduciarie: il 50% è
custodito dalla Solofid, che fa parte del gruppo Banca Lombarda, sponsor
della squadra, l'altro 50% dalla Nazionale Fiduciaria, che appartiene
alla galassia di società del finanziere Emilio Gnutti. Per quali
motivi Corioni, che non teme di apparire ufficialmente nell'azionariato,
dovrebbe poi nascondersi dietro almeno una delle due fiduciarie? In una
situazione simile a quella del Brescia c'è la Salernitana. Aniello
Aliberti compare ufficialmente come socio del club campano: ma solo di
minoranza. Perché la maggioranza, e precisamente il 64,1%, è
posseduta dalla fiduciaria Servizio Italia. Il presidente granata emerge
invece al termine di una catena: è socio al 35,55% nella Cofin,
proprietaria del 98% della Fin Sport, che a sua volta ha in mano il 35,67%
della Salernitana. Per Aliberti la domanda è dunque la stessa che
per Corioni.
Le regole di Cellino
Il numero uno del Cagliari è stato tra i capi della «rivolta»
dell'estate scorsa, invocando il rispetto delle regole contro il ripescaggio
di Catania, Genoa, Salernitana e Fiorentina. Ma l'assetto di controllo
della squadra sarda è oscuro: il 99,91% è detenuto dalla
Edilstudio. E' una società di Cagliari che, visura della Camera
di Commercio alla mano, oltre ad avere come oggetto principale la realizzazione
di iniziative produttive nell'ambito della Regione Sardegna, specialmente
di tipo edilizio, risulta «inattiva». Ed è un punto
interrogativo chi sia il propietario della Edilstudio: il pacchetto completo
delle azioni è stato infatti dato alla Melior Trust, che è
una fiduciaria il cui 10% è in mano alla banca d'affari Meliorbanca.
Viva il Lussemburgo
Il Granducato resta una meta piuttosto ambita anche nel calcio. Tutto
consentito dal punto di vista legale, sia ben chiaro. In rigoroso ordine,
sia di campionato di appartenenza che alfabetico, troviamo Bologna, Sampdoria,
Udinese, Napoli, Ternana e Triestina.
All'azionista di maggioranza del Bologna, Giuseppe Gazzoni Frascara, si
arriva dopo un lungo cammino. La società rossoblu è controllata
al 90% dalla Bologna Football Club 1909 Holding Spa, a sua volta in mano
per il 99,99% alla Victoria srl, posseduta al 100% dalla Lorena srl. Il
70% di quest'ultima è della lussemburghese Financière Gazzoni
Frascara. Anche la Sampdoria è sbarcata in forze nel Granducato.
Il 99,9% è della Weissberg S.A.: il suo socio di controllo è
la Banca Lombarda International S.A.. Particolare curioso: l'amministrazione
della Weissberg è in mano ad un altra società lussemburghese,
la Manacor S.A..
L'Udinese è controllata al 96,43% dalla Gesapar S. A.: l'1,9% è
in mano ad un'altra lussemburghese, la Fiveneta S. A., mentre Gianpaolo
Pozzo detiene l'1,67%. Scendendo di categoria, spicca il 99,94% del Napoli
Calcio S.A., controllante della società partenopea. A Terni la
situazione è semplice come a Napoli: il 99,9% è in mano
alla Fintad International Holding S.A. Leggermente più complicata
la catena di controllo della Triestina, ma la sostanza non cambia: il
99,99% della società giuliana è detenuto dalla San Marco
Finance srl, i cui soci sono, con lo 0,31% il presidente Amilcare Berti,
e con il 99,69% la lussemburghese Finvalley S.A.
Non solo Granducato
L'Ancona è in mano per il 100% alla Kruger Investiment, il 99,536%
del Perugia, dato in pegno a Capitalia, è però di proprietà
della Kilpeck Overseas Corporation, la quota di maggioranza del Catania,
pari al 74,5%, è della Audette Holdings Corporation. Curiosità
finale: la Figc è ancora azionista dell'Atalanta. Beninteso, nulla
di rilevante, specialmente nell'italico mondo del pallone in cui i conflitti
di interesse hanno ben altra portata: ma proprio per questo cosa ci fanno
quelle misere 100 azioni, pari a un valore nominale di 750mila vecchie
lire, ancora in mano federale?
(Fonte:
www.il
manifesto.it)
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